La recente approvazione preliminare di un disegno di legge da parte della Knesset, che vieta la cooperazione tra cittadini israeliani, autorità e istituzioni pubbliche con la Corte Penale Internazionale (CPI) dell’Aia, solleva preoccupazioni profonde sul futuro della libertà di stampa e della democrazia.

La proposta di legge prevede fino a cinque anni di carcere per chiunque fornisca servizi o risorse alla CPI, a meno che non dimostri di non essere consapevole della destinazione del proprio contributo. Questo provvedimento si inserisce in un contesto più ampio di crescente repressione dell’informazione e limitazione della trasparenza riguardo alle azioni delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) nei territori palestinesi occupati.

Se questa legge venisse approvata, le implicazioni per il giornalismo investigativo in Israele sarebbero devastanti. Un esperto di diritto internazionale ha dichiarato a Haaretz che un giornalista israeliano che pubblicasse un’inchiesta su possibili crimini di guerra dell’IDF rischierebbe l’incarcerazione.

Questo non solo soffocherebbe la libertà d’informazione, ma creerebbe un clima di paura e autocensura tra i media, impedendo il dibattito pubblico su temi di fondamentale importanza, non solo per la democrazia israeliana, ma per il definitivo scollamento dal diritto internazionale.

Israele si è spesso definito “l’unica democrazia del Medio Oriente” e l’IDF è stato presentato come “l’esercito più morale del mondo”. Ma qua siamo alla “criminalizzazione” della cooperazione.

Un Paese che ha la pretesa di definirsi democratico, garantisce la libertà di stampa e il diritto all’informazione. Non li reprime con minacce legali.

Il divieto di cooperare con la CPI rappresenta una gravissima e lapalissiana violazione del diritto internazionale, che impone agli Stati il dovere di perseguire e punire i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità. La CPI è un’istituzione creata per garantire che nessun individuo, indipendentemente dal potere che detiene, possa sfuggire alla giustizia.

Israele, negando ogni forma di collaborazione, mina il principio di giustizia universale e si allinea con Stati che rifiutano la supervisione internazionale per preservare la propria impunità.

La libertà è negoziabile solo nei regimi autoritari e negli stati canaglia, non in una vera democrazia.

Nella malaugurata ipotesi che questa legge fosse approvata, l’isolamento internazionale di Israele potrebbe essere più vicino. Rafforzando la percezione che il governo voglia sfuggire a ogni forma di responsabilità per le proprie azioni nei territori occupati, si potrebbe avere un effetto boomerang.

Agli occhi della comunità internazionale, il rifiuto di collaborare con la CPI, comprometterebbe ulteriormente la credibilità di Israele.

Il diritto all’informazione è un pilastro fondamentale di ogni società democratica. 

La società civile tutta, ad ogni livello, ha in questo momento un ruolo cruciale.

Sostenere giornalisti, attivisti e testate indipendenti è fondamentale.

Esercitiamo qualunque forma di pressione su istituzioni , ONG e organizzazioni per i diritti umani, affinché adottino misure diplomatiche e sanzioni contro chi nega la giustizia.

Siamo chiamati tutti in causa.

Dobbiamo fare da cassa di risonanza a proteste, petizioni e campagne di sensibilizzazione.

Diffondere consapevolezza è essenziale: informarsi, condividere notizie e approfondimenti, partecipare a incontri contribuisce a contrastare la narrazione ufficiale e a mantenere vivo il dibattito.

Israele non potrà sottrarsi all’infinito alla trasparenza e alla giustizia, senza pagare un prezzo alto in termini di reputazione e legittimità internazionale.

La libertà d’informazione non è un lusso.

E in democrazia, chiunque tenti di oscurare la verità non difende la nazione: la indebolisce.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *