Non c’è una data precisa, né un momento esatto in cui tutto è cambiato. Ma a un certo punto, l’umanità è stata risucchiata in una voragine di indifferenza, razzismo e violenza normalizzata.
È successo quando abbiamo permesso che ci rubassero le parole e i valori che un tempo definivano la nostra aspirazione collettiva: solidarietà, dignità, giustizia.
È successo quando abbiamo trasformato il dolore e la sofferenza di chi fugge da guerre e miseria in un problema da respingere, un peso da scaricare altrove.
Siamo stati inghiottiti nel momento in cui abbiamo accettato che il Mediterraneo diventasse una fossa comune. Non abbiamo reagito quando migliaia di vite si sono perse in mare e abbiamo pagato regimi brutali e milizie per bloccare chi tentava di raggiungere le nostre coste.
Abbiamo delegato a dittatori il nostro compito più crudele: fermare uomini, donne e bambini in fuga, condannandoli a lager dove tortura, stupri e schiavitù sono pratica quotidiana. Ci siamo detti che era giusto così, perché stavamo “difendendo l’Europa”.
Siamo stati inghiottiti quando abbiamo costruito la Fortezza Europa, quando abbiamo eretto muri fisici e mentali per proteggere non la libertà o la sicurezza, ma il nostro privilegio, lasciando che la violenza avvenisse lontano dai nostri occhi, ma non lontano dalla nostra colpa.
Una voragine si è aperta dentro di noi. Una parte della società civile ha accettato la narrativa tossica che descrive i rifugiati come una minaccia, un’invasione. Un’altra, pur sapendo, ha taciuto, preferendo il comfort del silenzio alla scomodità della denuncia.
Il pensiero xenofobo, razzista e suprematista si è diffuso come un virus, permeando ogni livello della società, giustificando crimini contro l’umanità in nome di un presunto bene comune.
Abbiamo smesso di riconoscerci negli altri quando abbiamo creduto alla menzogna che l’Occidente fosse superiore. Abbiamo rianimato la nostra vocazione coloniale, sfruttando i Paesi del Sud globale e poi rifiutando chi fugge dalle catastrofi che abbiamo contribuito a creare.
Abbiamo permesso che la propaganda di guerra giustificasse la corsa al riarmo, mentre celava razzismo e paura dietro la maschera della sicurezza.
Siamo stati risucchiati quando abbiamo perso il coraggio di opporci. Quando abbiamo smesso di credere che la solidarietà fosse un’azione concreta e non una parola vuota. Quando abbiamo permesso che il linguaggio venisse svuotato del suo significato, trasformando la “dignità” in un concetto astratto e l’umanità in una merce da negoziare.
Ci siamo persi nel momento in cui abbiamo accettato che la vita umana potesse avere un prezzo, che alcuni fossero più degni di vivere di altri.
Inghiottiti, ci troviamo ora a vivere in una società che normalizza la morte, che tollera l’indifferenza e che celebra la superiorità come virtù.
Soffocati dal fiume della prepotenza dobbiamo ritrovare le parole che abbiamo smarrito, per restituirle al loro significato originario e costruire una realtà in cui il rispetto dell’umano e della dignità non siano concessioni, ma diritti fondamentali.
La domanda è: abbiamo ancora la forza di risalire?