La vittoria silenziosa delle destre. E la fine dell’Europa dei diritti.
Non serve più attendere un evento di rottura, un colpo di stato simbolico o l’abolizione formale di un diritto fondamentale. La storia non si ripete mai allo stesso modo e la vittoria delle destre estreme e dei nuovi fascismi non ha avuto bisogno di clamore. È avvenuta con strumenti più subdoli, meno riconoscibili, ma infinitamente più efficaci: la normalizzazione.
La Corte di Giustizia UE deciderà a giugno sulla legittimità del trasferimento dei migranti in Albania, basato sulla lista italiana dei Paesi sicuri. Il caso è partito dal ricorso di due cittadini bengalesi.
Durante l’udienza, la Commissione Europea ha aperto alla possibilità di dichiarare sicuro un Paese anche se discrimina intere categorie di persone, di fatto avallando la linea italiana.
La sentenza non riguarderà solo l’Italia: ridefinirà il futuro del diritto d’asilo in tutta Europa.
Quella che doveva essere una semplice udienza davanti alla Grande Chambre della Corte di Giustizia Europea ha rivelato il volto definitivo di questa normalizzazione. Dodici governi, quasi metà dell’Unione, schierati a difesa di una tesi che non riforma il diritto d’asilo, lo svuota. Lo svuota tecnicamente, procedimentalmente, trasformandolo in un’opzione discrezionale degli Stati, non più in un diritto intangibile della persona.
Non è solo l’Italia di Giorgia Meloni a spingere verso questo ribaltamento è la stessa Commissione Europea che cambia posizione, rinnegando i propri pareri scritti, per adeguarsi a questa nuova logica politica. Una resa che non è tecnica, ma morale e culturale. La custode dei Trattati si è trasformata in esecutrice delle paure dei governi.
Perché è così che le destre estreme e i fascismi hanno vinto. Non hanno preso d’assalto le istituzioni. Non ne avevano bisogno. Le hanno conquistate dall’interno, insinuando nelle procedure la paura, la selezione, la discriminazione travestita da efficienza.
I centri in Albania sono un laboratorio di questo nuovo ordine: il richiedente asilo diventa un corpo da gestire, da spostare, da confinare fuori dallo sguardo pubblico, lontano dai tribunali, dai legali, dalla società civile. E la logica non si ferma ai Balcani. Se un paese può essere dichiarato sicuro anche se perseguita minoranze intere, chi deciderà dove si pone il limite? Quando il primo Stato europeo sarà considerato sicuro per tutti tranne che per una minoranza scomoda? E poi, quando lo sarà anche quello? Il fascismo non avanza con lo stivale, ma con la deroga.
Il diritto d’asilo, nato dalle ceneri di una guerra che aveva sterminato milioni di persone proprio perché nessuno volle accoglierle è ora un guscio vuoto. Gli Stati lo piegano a piacimento, la Commissione lo baratta per sopravvivere politicamente e la Corte rischia di sigillare con una sentenza il funerale di quel diritto.
Questa è la fine di una certa idea d’Europa. Non perché qualcuno l’ha dichiarata morta, ma perché è morta di vergogna, soffocata da quello stesso spirito di compromesso che, nei momenti bui, non distingue più tra diritto e arbitrio.
Se c’è una lezione da imparare è che il fascismo non è mai tornato. Perché non è mai andato via. Ha solo cambiato lessico, ha imparato a usare il linguaggio delle istituzioni, a vestirsi di procedure, a trasformare la paura in regolamento. E ora governa. Non da solo, ma con il consenso silenzioso di chi, nel cuore delle istituzioni, ha scelto di sopravvivere anziché resistere.
Non è un futuro distopico. È l’oggi. È questa Europa. Ed è già finita.